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Corte d'Appello di Bologna > subordinazione
Data: 20/04/2006
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 171/06
Parti: Unicredito Italiano SpA / Antonio B.
DISTACCO – INSUSSISTENZA - ACCERTAMENTO DI RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO PER CESSIONE DI RAMO DI AZIENDA – ILLEGITTIMITA’


Una lavoratrice conveniva in giudizio la società che l’aveva assunta (Precion Tooling), e la società presso cui era stata distaccata (Tecomec) in concomitanza con una dichiarata cessione di un ramo di azienda, chiedendo, previo accertamento di rapporto di lavoro subordinato nei confronti della seconda, la loro condanna solidale al risarcimento da illegittimo licenziamento intimatole dalla società distaccante per cessione del ramo di azienda e per la quale non svolgeva più alcuna prestazione di lavoro. Il Tribunale di Reggio Emilia rigettava la domanda di parte attrice, ritenendo sussistente e legittima la cessione di ramo di azienda e rilevando come in ogni caso la ricorrente non fosse riuscita a dimostrare l’illegittimità del suo distacco con conseguente novazione del rapporto per violazione dell’art. 1 della legge n. 1369/60. La Corte di Appello di Bologna riforma integralmente la sentenza di primo grado, inquadrando la fattispecie nell’istituto del distacco (o comando) nel lavoro subordinato privato, a seguito della dissociazione del soggetto che aveva proceduto all’assunzione e dell’effettivo beneficiario delle prestazione; al riguardo richiama quel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “la dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo beneficiario della prestazione, in forza del principio generale che si desume dall’art. 2127 c.c. e dalla legge n. 1369 del 1960 – principio che esclude che un imprenditore possa inserire a tutti gli effetti un proprio dipendente nell’organizzazione di altro imprenditore senza che il secondo assuma la veste di datore di lavoro – è consentita soltanto a condizione che continui ad operare, sul piano funzionale, la causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante. Si desume da questo principio generale la necessità che sia accertata la sussistenza di un preciso interesse del datore di lavoro derivante dai suoi rapporti con il terzo” (Cass. n. 11363/04 ed in motivazione Cass. n. 16165/04). La Corte di Appello ritiene quindi illegittimo il distacco attuato nel caso in esame, per assenza delle condizioni sintetizzate nella sentenza della Corte di Cassazione n. 17748/04, la quale ha puntualizzato che “il comando o distacco che, di recente, ha trovato specifica regolamentazione nell’art. 30 del d. lgs. n. 276/2003 (la cui normativa non può, ratione temporis, trovare applicazione nella specie), disposto dal datore di lavoro presso un altro soggetto destinatario dell’attività lavorativa, è configurabile quando ricorrono le seguenti tre condizioni: 1) deve esistere l’interesse del datore di lavoro distaccante a che il lavoratore presti la propria opera presso un altro soggetto, purché tale interesse persista per tutto il tempo del distacco; 2) il comando deve avere il carattere della temporaneità, intesa non come brevità, ma non come definitività; 3) in capo al datore di lavoro deve perdurare il potere direttivo – eventualmente delegato al destinatario – unitamente a quello di determinare la cessazione del distacco (cfr. Cass. n. 5/1995, Cass n. 502/1998, Cass n. 14558/2000).”

In particolare, per quanto concerne la “temporaneità del distacco”, la destinazione non deve necessariamente avere una durata predeterminata fin dall’inizio, né che sia contestuale all’assunzione del lavoratore, ovvero persista per tutta la durata del rapporto: tale durata deve solo coincida con quella dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente presti la sua opera in favore di un terzo (Cass. n. 6657/1995).

La Corte di Appello ritiene dunque che la ricorrente, formalmente distaccata presso la Tecomec, fosse in realtà alle effettive dipendenze di quest’ultima che ne utilizzava le prestazioni, non essendo qualificabile il distacco della lavoratrice come atto organizzativo dell’impresa che lo aveva disposto, per assenza di uno specifico interesse imprenditoriale della Precision Tooling e non essendo risultato che il potere direttivo e quello di disporre la cessazione del distacco fosse rimasto in capo alla Precision Tooling. Pertanto una volta accertato che si era instaurato un rapporto di lavoro subordinato fra l’appellante e la Tecomec, effettiva ed unica beneficiara della prestazione di lavoro, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 1369/60, la Corte dichiara illegittimo il licenziamento, ricondotto in realtà ad una decisione della Tecomec, per infondatezza delle ragioni poste a base del recesso, non rispondendo alla realtà che si fosse ceduto un ramo di azienda.




Corte d'Appello di Bologna > subordinazione
Data: 12/01/2006
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 859/05
Parti: G3 Ferrari/ Graffigna
SUBORDINAZIONE – CRITERI DISTINTIVI


Con la decisione in commento la Corte d’Appello di Bologna ribadisce il suo orientamento restrittivo in materia di rivendicazione di rapporti di lavoro subordinato (cfr. Corte d’Appello 6 ottobre 2003 in RGLNews n. 6/2003), anche di fronte ad elementi percepiti dal sentire comune come tipici della subordinazione.

Il caso in esame riguardava un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, conclusosi con sentenza del Tribunale di Forlì favorevole all’INPS, per omissione di versamenti contributivi relativi alle prestazioni rese da un gruppo di lavoratrici che – secondo gli accertamenti effettuati dall’Ispettorato dell’Istituto – avevano svolto attività di centraliniste all’interno dei locali della società appellante (fornendo informazioni sull’oroscopo, sulle statistiche dei numeri del lotto, sul totocalcio, interpretando le “carte” e i “tarocchi”): a) utilizzando apparecchi telefonici messi dalla medesima società a loro disposizione; b) essendo inserite nella struttura aziendale ed essendo chiamate a svolgere un’attività finalizzata a perseguire lo scopo sociale; c) espletando le stesse mansioni svolte in precedenza da loro stesse (in alcuni casi da altro personale) con rapporto di lavoro subordinato; d) essendo tenute a rispettare l’orario e la sua articolazione come prestabiliti secondo un palinsesto settimanale preparato dalla società; e) dovendo attestare la propria presenza con l’utilizzo di un cartellino marcatempo; f) percependo un compenso sulla base delle ore effettuate, come risultanti dal cartellino marcatempo; g) potendo il datore di lavoro variare, quantitativamente, il numero di ore di lavoro precedentemente autorizzato a ciascun dipendente disponendo pure del potere discrezionale della riduzione del corrispettivo orario già pattuito in sede contrattuale. Il Tribunale di Forlì aveva respinto l’opposizione della società confermando la sussistenza della subordinazione, e la società aveva proposto appello, che veniva accolto dalla Corte di Bologna la quale, riformando la sentenza di primo grado, ha nuovamente puntualizzato la propria posizione sui principali temi in materia.

EFFICACIA PROBATORIA DEI VERBALI DELL’ISPETTORATO. La Corte ritiene che i medesimi, in tema di omesso versamento dei contributi, costituiscano prova idonea a legittimare il ricorso al procedimento ingiuntivo e facciano fede fino a querela di falso per quanto riguarda la provenienza dal pubblico ufficiale che li ha redatti e i fatti che quest’ultimo attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti. Invece “per le altre circostanza di fatto, che il verbalizzante segnali di aver accertato nel corso dell’inchiesta, per averle apprese de relato o in seguito ad ispezione di documenti, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, ma il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento addossando all’opponente l’onere di fornire la prova dell’insussistenza dei fatti contestatigli (fra le tante v. Cass. n. 6847/87; n. 3148/85; n. 392/92; n. 3973/98; n. 5041/00)”.

NOMEN JURIS. Il collegio ribadisce di condividere quell’orientamento secondo cui il codice civile e le leggi speciali sottraggono ai soggetti del rapporto il potere di regolare a loro criterio il contenuto del rapporto stesso, affidando la tutela degli interessi del lavoratore alla legge e alla contrattazione (Cfr. Cass. n. 7885/97 e n. 4533/00). Distinguono peraltro due ipotesi. La prima è quella che i contraenti vogliano attuare un rapporto di subordinazione, ma che dichiarino di volere un rapporto di lavoro autonomo per aggirare i connessi obblighi ed oneri: in tal caso prevale il contratto dissimulato su quello simulato ai sensi dell’art. 1414, secondo comma cod. civ. La seconda ipotesi è quella in cui i contraenti abbiano effettivamente voluto un rapporto autonomo, ma mediante lo svolgimento del rapporto manifestino, con fatti concludenti, mutamenti della volontà inizialmente espressa: in questo caso i comportamenti assumono rilevanza giuridica nella fase in cui le prestazioni vengono scambiate, e dal loro contenuto si risale al tipo negoziale in cui la vicenda concreta deve essere inquadrata.

Rispetto al caso specifico, la Corte non attribuisce rilevanza al fatto che i rapporti di lavoro, prima di essere trasformati in co.co.co. fossero inquadrati come di lavoro subordinato, ritenendo infondata l’ipotesi, prospettata nel verbale di accertamento INPS, che la scelta del rapporto di collaborazione autonoma non sarebbe stata determinata dalla libera volontà delle parti: secondo l’Ispettorato, infatti, tale “scelta” era stata dettata dalla necessità di lavoro e di guadagno delle dirette interessate le quali, pur di accedere ad un posto di lavoro, avevano dovuto accettare le condizioni loro imposte. Secondo un ragionamento molto formalistico, i giudici bolognesi affermano che lo stato di necessità e lo stato di bisogno potrebbero al più legittimare la rescissione del contratto, ma non consentirebbero di pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto contrattuale. Inoltre la divergenza fra la volontà della parte e la dichiarazione negoziale manifestata potrebbe essere presa in considerazione “solo nelle particolari ipotesi previste dalla legge (ad esempio simulazione, annullamento per vizi della volontà o per incapacità naturale della parte) di regola prevalendo, sulla base del principio di tutela dell’affidamento e della buona fede, la dichiarazione esternata sulla volontà effettiva”. Con buona pace del principio, ugualmente affermato in sentenza, secondo cui “la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti, nella iniziale stipulazione del contratto, non è determinante, stante l’idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà, sia una nuova diversa volontà (v. Cass. n. 15001/00; n. 11502/00, n. 8407/01; n. 9019/01)”

UNICO ELEMENTO CARATTERIZZANTE LA SUBORDINAZIONE. La Corte fa ancora proprio il ragionamento tautologico sempre ripetuto dal Supremo Collegio: “l’elemento essenziale e determinante del lavoro subordinato costituente elemento discretivo rispetto al lavoro autonomo, è il vincolo della subordinazione (v. tra le tante Cass. n. 15275/04; n. 3929/01; n. 2790/01; n. 6089/91) che si configura come soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro e si estrinseca nell’emanazione di ordini specifici e nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative e va, concretamente, apprezzato con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione (Cass. n. 17382/03; n. 5989/01; n. 2970/01; n. 224/01)”.

Al contrario “la continuità della prestazione, la rispondenza dei suoi contenuti a fini propri dell’impresa, la presenza di direttive tecniche e di poteri di controllo, le modalità di erogazione della retribuzione, l’assenza del rischio e l’osservanza di un orario non assumono rilevo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato (v. Cass. n. 224/01; n. 15001/00; n. 1420/02; n. 9900/03; n. 13840/03; n. 2414/04: n. 2842/04)”.

Nel caso in esame, comunque, i giudici dell’appello hanno attribuito rilevanza al fatto che non era previsto che in caso di malattia venisse inviato un certificato medico; che nelle risposte all’utenza le centraliniste non fossero obbligate ad assumere una linea interpretativa determinata dal committente o a trattare gli argomenti da altri prescelti; che potessero liberamente scambiare con le colleghe il turno già predisposto dalla società (fermo restando l’obblig




Corte d'Appello di Bologna > subordinazione
Data: 06/09/2003
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 193/03
Parti: Gallo / Fadros srl
SUBORDINAZIONE - CRITERI DISTINTIVI


Un lavoratore che assumeva di aver prestato attività di lavoro subordinato alle dipendenze di una società commerciale in qualità di commesso di un punto vendita, chiedeva ed otteneva dal Tribunale del Lavoro di Bologna l'accertamento della subordinazione, dimostrando con prove testimoniali di aver seguito le direttive del titolare della Ditta, di essere stato vincolato ad un orario di lavoro e di aver percepito un compenso fisso mensile in forza di un contratto di collaborazione. I giudici dell'appello si sono dimostrati invece di contrario avviso, riformando la sentenza ed enunciando una serie di princîpi sui temi comunemente dibattuti in tale genere di controversie, che si ritiene opportuno riportare. NOMEN JURIS. Il collegio si uniforma a quell'orientamento secondo cui il codice civile mostra di affidare la tutela degli interessi del lavoratore più che allo strumento contrattuale, a fonti "eteronome" al di sopra della volontà delle parti, quali la legge e la contrattazione collettiva, sottraendo quindi alle parti il potere di regolare a loro criterio il contenuto del rapporto stesso (Cfr. Cass. n. 7885/97 e n. 4533/00). Vengono peraltro distinte due ipotesi. La prima è quella che i contraenti vogliano attuare un rapporto di subordinazione, ma che per aggirare i connessi obblighi ed oneri, dichiarino di espressamente volere un rapporto di lavoro autonomo oppure si esprimano in modo non chiaro. Nel primo caso prevale il contratto dissimulato su quello simulato ai sensi dell'art. 1414, secondo comma cod. civ.; mentre nel secondo le difficoltà interpretative vengono superate considerando il comportamento delle parti (art. 1362 cod. civ.). La seconda ipotesi è quella in cui i contraenti abbiano effettivamente voluto un rapporto autonomo, ma mediante lo svolgimento del rapporto manifestino, con fatti concludenti, mutamenti della volontà inizialmente espressa: in questo caso i comportamenti assumono rilevanza giuridica nella fase in cui le prestazioni vengono scambiate, e dal loro contenuto si risale al tipo negoziale in cui la vicenza va inquadrata. Rispetto al caso specifico, la Corte ha però ritenuto che la volontà congiuntamente manifestata dalle parti fosse di mettere in atto una collaborazione di natura autonoma, e che durante il rapporto non si fosse in concreto realizzata la subordinazione. Anzi, essa ha dichiarato che l'avere la società sottoposto al lavoratore uno schema di contratto di lavoro autonomo in una fase intermedia del rapporto confermava la sua mancata volontà di radicare un rapporto di lavoro subordinato (laddove, invero, la circostanza provava forse solo la volontà di non dare al rapporto tale forma). Nessun rilievo è stato invece attribuito al rifiuto del lavoratore di sottoscrivere quello schema di contratto, che provava, quantomeno, una non omogenea volontà delle parti. PROVA. Grava sul lavoratore l'onere di dimostrare la subordinazione, ed esso non deve ritenersi assolto se la prova lascia "ampi margini di dubbio, stante la non univocità ed incompletezza delle dichiarazioni rilasciate dai testimoni". SOGGEZIONE AL POTERE DISCIPLINARE E DIRETTIVO. Secondo la Corte il vincolo della subordinazione si configura come soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro e si estrinseca nell'emanazione di ordini specifici e nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo nell'esecuzione delle prestazioni lavorative (Cass. n. 2790/01; n. 6089/91) e va, concretamente, apprezzato con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione (Cass. n. 5989/01; n. 2970/01; n. 224/01). ALTRI CARATTERI DELL'ATTIVITA' LAVORATIVA. La continuità della prestazione, la rispondenza dei suoi contenuti a fini propri dell'impresa, la presenza di direttive tecniche e di poteri di controllo, le modalità di erogazione della retribuzione, l'assenza del rischio e l'osservanza di un orario non assumono, secondo i giudici bolognesi, rilevo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato (v. Cass. n. 224/01; n. 15001/00). In conclusione per la Corte d'Appello di Bologna (ma in ciò non è molto difforme l'orientamento prevalente della Cassazione) è estremamente arduo dimostrare il vincolo di subordinazione quando non venga esercitato il potere disciplinare (che però può non essere esercitato anche in un rapporto di tipo subordinato, nei confronti ,ad esempio, di un dipendente diligente) ovvero quello gerarchico, vale a dire il vincolo di subordinazione stesso. Resta il dubbio sui motivi che avrebbero indotto l'odierno legislatore (legge delega n.30/03 ed il decreto legislativo attuativo n. 276/03) a circoscrivere fortemente l'area della parasubordinazione, nella dichiarata convinzione che la grandissima parte dei contratti parasubordinati nascondesse dei contratti di lavoro subordinato simulati




Corte d'Appello di Bologna > subordinazione
Data: 21/02/2007
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 676/06
Parti: GASTONE M. / INPS
ACCERTAMENTO DI LAVORO SUBORDNATO DI SOCIO LAVORATORE – ESCLUSIONE – PROVVEDIMENTO DI ESCLUSIONE DA SOCIO - REGIME ANTERIORE ALLA LEGGE N. 142/2001


Art. 2094 cod. civ.

Il Tribunale di Bologna aveva accolto la domanda di un socio lavoratore di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la cooperativa, in quanto dall’esame delle concrete modalità di svolgimento del rapporto erano emersi indici rilevatori della subordinazione, quali l’esecuzione di direttive precise, orari di lavoro prestabiliti, la corresponsione di una retribuzione fissa, l’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare, l’utilizzo di materiali e di attrezzature della cooperativa, senza l’assunzione di alcun rischio economico. La Corte d’Appello di Bologna, riformando sul punto la sentenza e richiamando la giurisprudenza del Supremo Collegio ( Cass. n. 16281/04; n. 5003/05), evidenzia l’errore in cui è incorso il giudice di primo grado, che ha omesso ogni indagine in ordine alla natura ed alle finalità della cooperativa appellante sulla base dell’atto costitutivo e delle norme statutarie, sulla partecipazione del socio lavoratore all’attività sociale, sulla rispondenza dell’attività lavorativa all’oggetto sociale, anche in relazione alle modalità previste dal contratto sociale per l’impiego dei soci lavoratori e sulla eventuale possibilità di costituire rapporti di lavoro subordinato con i soci e la verifica dell’eventuale volontà espressa dalle parti in tal senso. La Corte, riesaminando l’istruttoria condotta in primo grado, accerta infatti la genuinità della natura della cooperativa di produzione e lavoro, la cui attività è rispondente al proprio Statuto, avendo sempre - stando ad alcune testimonianze rese - diviso gli utili tra i soci, indetto varie assemblee di carattere informativo e deliberativo tra i soci ed essendo state assunte le principali decisioni sull’andamento della società dall’assemblea dei soci. Le prestazioni dell’appellato, al pari di quelle degli altri soci lavoratori, sono state quindi effettuate in conformità dello Statuto sociale e sono volte a consentire il raggiungimento delle finalità istituzionali della cooperativa: pertanto le modalità esecutive della prestazione indicate dal socio lavoratore per dimostrare l’effettiva costituzione fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, altro non sono che l’adempimento al contratto sociale secondo le finalità mutualistiche proprie della cooperativa. La Corte di Appello quindi esclude la sussistenza della subordinazione tecnico funzionale del socio, mancando l’alienità dell’organizzazione e del risultato produttivo, nonché mancando anche la prova dell’esistenza di una comune volontà delle parti volta a costituire, a fianco del rapporto associativo, anche un rapporto di lavoro subordinato.

La Corte inoltre respinge l’appello incidentale proposto, avente ad oggetto in via principale la declaratoria di illegittimità del preteso licenziamento ed il pagamento delle retribuzioni maturate successivamente al licenziamento, ed in subordine l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di esclusione da socio con la reintegra nel posto di lavoro e con il riconoscimento delle retribuzioni maturate dalla data di espulsione dalla cooperativa: il primo motivo dell’appello incidentale, avendo come presupposto l’accertamento dell’esistenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato è stato ritenuto assorbito, mentre il secondo motivo è stato ritenuto inammissibile per effetto della clausola compromissoria contenuta nello Statuto della cooperativa che demanda ogni reclamo avverso i provvedimenti assunti dal Consiglio di Amministrazione ad un collegio arbitrale.